TED BUNDY E AILEEN WUORNOS. DUE PERSONALITA’ A CONFRONTO

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LA PERSONALITA’ UMANA. PREMESSA

Ogni comportamento umano è il risultato finale dell’interazione tra caratteristiche innate e l’ambiente in cui vive. Mediante processi di apprendimento e di modellamento l’uomo struttura la sua personalità.

In essa si può trovare un lato nascosto, che spesso si cerca di reprimere in nome di un ordine stabilito dalle norme sociali e culturali ma talvolta questa azione di contenimento e di soppressione sfugge al controllo, favorendo l’azione criminale e trasformando la persona in una crudele e pericolosa delinquente.

Sigmund Freud
Sigmund Freud

Già Freud scriveva: “ L’uomo ha istinti aggressivi e passioni primitive che portano allo stupro, all’incesto, all’omicidio; sono tenuti a freno in modo imperfetto, dalle istituzioni sociali e dai sensi di colpa.”

Ci sono quindi funzionamenti che possono divenire disfunzionali, non adattivi, rigidi e che possono portare a deviazioni dalla norma sino a sfociare in comportamenti delinquenziali.

Questo tipo di organizzazioni rappresentano delle strutture abnormi di personalità che possono essere riconoscibili in alcuni disturbi più che in altri e che vengono definite spesso psicopatie.

LA PSICOPATIA

Alcune volte il termine psicopatia viene usato in maniera intercambiabile con sociopatia, la differenza in realtà sta negli elementi che si vogliono prendere in considerazione per definire tali vocaboli.

Si usa generalmente la parola sociopatico quando le variabili concorrenti sono le determinanti sociali e le esperienze precoci mentre, quando si fa riferimento anche a quelli che sono i fattori psicologici, biologici e genetici (1) che possono determinare queste varianti abnormi di personalità, allora si preferisce usare il temine psicopatico.

Molti clinici erroneamente hanno fatto rientrare il disturbo antisociale della personalità nell’ambito della psicopatia ma, mentre nel primo caso ci si riferisce a comportamenti criminali e antisociali, il secondo caso si caratterizza non solo per comportamenti socialmente devianti ma anche per una serie di tratti di personalità.

Hervey Milton Clecley

HERVEY CLECKLEY

Hervey Cleckley è uno psichiatra statunitense e può essere considerato il padre degli studi sulla psicopatia.

Partendo dalle osservazioni realizzate sui suoi pazienti, formulò l’ipotesi che gli psicopatici presentano un deficit emotivo e di insight che impedisce loro di sperimentare la vita alla pari delle altre persone.

Cleckley pubblicò nel 1976 il libro The Mask of Sanity, all’interno del quale inserì 16 criteri da lui elaborati per diagnosticare la psicopatia: fascino superciale, assenza di ansia, mancanza di senso di colpa, indifferenza, disonestà, egocentrismo, impulsività, incapacità di stabilire relazioni intime durature, incapacità di apprendere dalle punizioni, incapacità di posticipare la gratificazione, povertà emotiva, assenza di empatia, incapacità di fare piani a lungo termine, tendenza a cercare un controllo esterno per il proprio comportamento, menzogna cronica, distacco sociale.

PSICOPATIA E EMOZIONI

Questi criteri riguardano i pensieri e le emozioni delle persone. Caratteristica fondamentale per identificare la personalità psicopatica è la povertà di emozioni, siano esse positive o negative.

Inoltre, si tratta di persone che utilizzano il proprio fascino per manipolare gli altri e trarne così vantaggio.

L’assenza di emozioni negative fa sì che la persona non possa apprendere dai propri errori. Altro marker importante, è che il comportamento antisociale della persona psicopatica viene messo in atto d’impulso, in particolare per il brivido che procura e non per altre motivazioni o bisogni.

I soggetti psicopatici rispondono in modo abnorme a quelli che sono gli stimoli ambientali, sono loquaci e brillanti, possono portare avanti conversazioni piacevoli e divertenti, riescono ad essere attraenti e affascinanti, sono egocentrici e hanno un senso di autolegittimazione enorme.

Di loro, hanno una visione narcisistica, considerano sé stessi al centro dell’universo, sentendosi giustificati a seguire le proprie leggi. Sono poi arroganti, sicuri di sé, prepotenti, non sono in grado di accettare idee diverse dalle loro. Non provano interesse, né sensi di colpa per gli effetti che le loro azioni possono avere sugli altri.

I soggetti psicopatici riescono a mentire e a manipolare senza prendere in considerazione la possibilità di essere scoperti e, quando ciò avviene, non provano imbarazzo ma cercano semplicemente di cambiare versione, rendendola coerente con ciò che hanno detto.

Gli psicopatici sono convinti di provare emozioni forti ma, nel momento in cui devono descriverle, sono incapaci di farlo.

A tal proposito, gli psicologi Johns J.H. e Quay H.C. affermarono che lo psicopatico “conosce le parole ma non la musica” (2) .

Tali soggetti, in realtà, provano solo delle protoemozioni cioè delle risposte primitive a bisogni immediati e sono totalmente incapaci di costruirsi una rappresentazione mentale ed emotiva degli stati altrui.

IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’

Tale mancanza empatica è un tratto condiviso con un altro grave disturbo di personalità: il disturbo bordeline.
Il disturbo bordeline di personalità può essere definito come uno “stato limite”, di difficile collocazione nosografico-clinica. Si tratta di una organizzazione di personalità distinta sia dalle nevrosi che dalle psicosi e, allo stesso tempo, recante caratteristiche di entrambe.
Facendo riferimento al modello categoriale, l’ American Pysichiatric Association, nel D.S.M. 5,  colloca il disturbo di personalità bordeline nel gruppo B nelle condotte di comportamento drammatiche, emotive o disregolate.

Per una diagnosi di disturbo borderline di personalità, i pazienti devono avere un modello persistente di relazioni instabili, immagini di sé, disregolazione emozionale e pronunciata impulsività.

Caratterizzante è la presenza di almeno 5 dei seguenti sintomi:
1. modalità pervasiva di instabilità nelle relazioni interpersonali, dell’immagine del sé e dell’umore;
2. sforzi disperati di evitare un reale o presunto abbandono;
3. relazioni interpersonali instabili ed intense caratterizzate dall’alternanza di stati di iperidealizzazione e di svalutazione degli altri;
4. impulsività;
5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o automutilanti;
6. instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell’umore;
7. sentimenti cronici di vuoto;
8. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

Nella formazione del proprio Sé, di particolare importanza risultano essere le modalità di regolazione emotiva che il bambino sviluppa con i suoi caregiver durante i primi anni di vita.

Poiché influenzano la formazione delle successive competenze di regolazione con gli Altri, esse possono presentare aspetti di adeguatezza o aspetti di disregolazione.

John Bowlby afferma che il bisogno primario del bambino consiste nel sentirsi accudito, protetto e sicuro. Inoltre, osservando bambini cresciuti in condizioni affettivamente deprivanti, l’autore sostiene che l’attaccamento tra il piccolo e la madre è necessario per uno sviluppo sano.
I legami svolgono una funzione fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo, non solo in termini di gratificazione della pulsione orale. L’affetto del bambino verso la madre è determinato da una motivazione intrinseca primaria e la qualità dell’esperienza di attaccamento è definita dalla disponibilità della madre a porsi come base sicura dalla quale egli può allontanarsi per esplorare il mondo e farvi ritorno.

Se il caregiver risponde in maniera adeguata e quindi in sintonia con il bambino, quest’ultimo comincia ad utilizzare e a dirigere i comportamenti di attaccamento, iniziando ad acquisire un’immagine mentale di sé stesso, della figura primaria e della qualità della relazione, sviluppando i modelli operativi interni (3) che sono necessari per regolare, interpretare e predire il comportamento, i pensieri e i sentimenti relativi sia alla figura d’attaccamento che a sé stessi.

Lieberman (1997) ipotizza, attraverso delle ricerche condotte con altri studiosi, che la trasmissione dei MOI dal genitore al bambino avvengono attraverso processi di identificazione proiettiva in cui il caregiver proietta sul figlio le fantasie inconsce connesse ai modelli di attaccamento che sono stati alla base del suo sviluppo.

Ciò fa sì che se il genitore ha sperimentato un attaccamento sicuro, questo venga trasmesso al figlio ma se invece i suoi modelli sono stati disfunzionali e di disregolazione emotiva, anche essa sarà proiettata sul bambino che non sarà in grado di impegnarsi correttamente nel processo di mentalizzazione (4) per l’auto organizzazione e per la sua regolazione affettiva (Allen,Fonagy,Bateman,2008).

Nel disturbo bordeline è proprio un attaccamento di tipo disorganizzato a porre il soggetto in difficoltà rispetto la regolazione emotiva e soprattutto rispetto alle emozioni negative. Tutto è vissuto in modo amplificato, con una intensità insopportabile.

In una relazione affettiva, ad esempio, una piccola disattenzione del partner viene percepita dal border come un abbandono devastante.
La perdita dell’oggetto di amore, porta a rifiutare ogni legame affettivo per timore di perderlo nuovamente e, addirittura, può condurre ad organizzare un meccanismo di difesa volto a proteggersi dalla paura di essere di nuovo deprivato dell’affetto, con il mezzo radicale della distruzione dell’altro.

Potremmo dire che spesso, nelle relazioni affettive del border, l’espressione che meglio può descrivere la sua tendenza dell’agito, usata per calmare e gestire uno stato emotivo altrimenti intollerabile, è ben rappresentata dalla frase: “ti odio perché tu mi ami”.

L’amore viene ricambiato con l’odio e il disprezzo e ciò a causa dei suoi sentimenti cronici di vuoto, di depressione. A livello inconscio, il border si percepisce indegno di amore, diventando autodistruttivo.

Nel disturbo bordeline l’Io è fragile e poco integrato; ciò porta il soggetto che ne è affetto ad essere inconsapevole delle sue tante incoerenze e contraddizioni a causa della scissione dell’Io.

Otto F. Kernberg

Egli quindi è incapace di riflettere su sé stesso e di tollerare le critiche perché vengono da lui percepite come attacchi devastanti.

IL DISTURBO BORDERLINE SECONDO OTTO F. KERNBERG

Otto Kernberg, per dare una spiegazione del disturbo borderline, si focalizza sulla qualità delle relazioni oggettuali (5) sul grado di integrazioni del Super Io.

La qualità delle relazioni sociali dipende dall’integrazione dell’identità ma i soggetti bordeline non hanno superato il conflitto adolescenziale che Erickson propone nella sua teoria circa lo sviluppo psisociale di identità.

Nella fase dell’adolescenza, che va dai 12-20 anni, il nesso è ravvisabile nella costruzione della personalità tramite il rafforzamento dell’Io, che deve integrare tutte le identificazioni e i valori significativi acquisiti, sulla base di ciò che si vuole essere, ossia dell’Io ideale.

Nei soggetti borderline, l’integrazione viene a mancare poichè nel loro sviluppo non hanno avuto quel processo di mentalizzazione che avrebbe permesso di auto organizzarsi.

Tale mancanza porta ad una diffusione e dispersione dei ruoli, dunque a personalità non compatte, non autonome e insicure, lasciando una sensazione di vuoto con percezioni contraddittorie del Sè.

Il soggetto non riesce a provare una reale empatia per il prossimo, portando a relazioni caotiche esuperficiali, che generano conflitti genitali e pregenitali quando diventano più intime. I border usano la scissione e altri meccanismi quali l’idealizzazione primitiva, identificazione proiettiva, il diniego, l’onnipotenza e la svalutazione. Essi possono proteggere l’Io dai conflitti solo dissociando o tenendo separate le esperienze contraddittorie del Sé e degli altri. Questi stati contraddittori si alternano, mentre l’angoscia che deriva dai conflitti viene evitata o controllata. Tali difese però non fanno altro che portare ad un indebolimento dell’Io riducendone la capacità di adattamento e di flessibilità.

Per Kernberg ,quindi, la patologia delle relazioni oggettuali internalizzate rappresenta il vero disturbo di personalità bordeline a causa della sperimentata diffusione dell’identità, dell’impossibilità di integrare gli affetti e di poter sviluppare capacità empatico-identificatorie. (6) L’autore suddivide l’organizzazione bordeline (7) in “alta” e “bassa”, a seconda che il funzionamento di personalità utilizzi meccanismi difensivi più o meno evoluti, quindi più affini verso una condizione nevrotica o psicotica.

Nell’organizzazione di tipo “alta” si possono trovare tipi quali il sado-masochista, il ciclotimico, il dipendente, l’istrionico, il narcisistico, mentre nell’organizzazione di tipo “bassa” si possono avere disturbi paranoidi, ipomaniacali, narcisistici maligni, ipocondriaci, schizoidi, bordeline, schizotipici, antisociali. Queste sovrastrutture difensive portano il bordeline ad un’azione di mascheramento rigido e inautentico che permette un compromesso tra i sentimenti negativi interni e le esigenze della vita reale.

Non tollerando lo stress, in condizioni acute o croniche essi possono presentare episodi di scompenso che si traducono in una dissociazione transitoria o acuta, in cui c’è la perdita di confini tra il mondo interno e quello esterno e tra la capacità di differenziare tra il proprio Sé e gli altri. Quando si verificano questi episodi dissociativi, il border come fase prodromica sperimenta distorsioni cognitive o attacchi di angoscia che generano in lui forme persecutorie.

Nella pratica forense poter stabilire se un soggetto al momento del crimine fosse in uno stato di funzionamento psicopatologico di scompenso è un atto imprescindibile per poterne dichiarare lo stato di infermità e quindi il grado di imputabilità, ma ciò spesso può presentare delle difficoltà. Come difficoltà può presentare l’inquadramento diagnostico di alcune categorie nosografiche proprio a causa del fatto che alcuni sintomi possono essere presenti in più disturbi contemporaneamente.

Esaminando inizialmente il disturbo psicopatico e il disturbo bordeline si è visto che entrambi questi funzionamenti abnormi condividono uno stile di vita caratterizzato da modalità di risposta abnormi agli stimoli ambientali, egocentrismo, mancanza di empatia, manipolazione, impulsività, distacco emotivo e sociale, caratteristiche queste condivise anche con il disturbo antisociale.

TED BUNDY E AILEEN WUORNOS. PERSONALITA’ A CONFRONTO

Ted Bundy

Per meglio comprendere le differenze invece possiamo ripercorrere la vita di due famosi serial killer americani: lo psicopatico Ted Bundy e Aileen Wuornors, alla quale fu diagnosticato dai periti del tribunale un disturbo antisociale e un disturbo bordeline di personalità.

Ted Bundy a metà degli anni ’70 uccise decine di ragazze, (gli si attribuirono almeno 30 vittime). Era uno stupratore seriale, assassinava le sue vittime, le mutilava e compiva atti di necrofilia sui loro corpi. Il suo modus operandi era l’assalto con arma bianca e lo strangolamento. Nonostante fosse riuscito ad evadere per ben due volte, fu giustiziato sulla sedia elettrica nel gennaio del 1989.

Aileen Wuornors agli inizi degli anni ’90 uccise 6 clienti durante la sua attività di prostituzione.

Assassinava le sue vittime anch’ella mediante un’arma bianca, una calibro 22, derubava il malcapitato e ne abbandonava il corpo.

Aileen Wuornos

Fu ritenuta colpevole e giustiziata a morte mediante iniezione letale il 9 Ottobre 2002

Entrambi furono allevati dai nonni e per alcuni anni pensarono che fossero i propri genitori biologici per poi invece scoprire la verità. A Bundy fu detto che colei che riteneva essere la sorella in realtà era la madre. Entrambi furono sconcertati dalla notizia percepita come abbandono.

A quanto pare entrambi le coppie di nonni erano violenti con i rispettivi nipoti. Il nonno della Wuornos era un alcolizzato e la violentò quando era ancora una ragazzina. Invece le nonne, succubi dei loro mariti, svilupparono forme depressive. La loro adolescenza fu all’insegna della violenza subita e perpetrata, della delinquenza.

Rispetto al senso di colpa che poteva provare nell’aver ucciso, mutilato, necrofizzato quelle giovani donne, Bundy disse durante l’intervista di Michaund e Aynesworth (8) : “ Sai, qualunque cosa io abbia fatto in passato, le emozioni di ciò che ho fatto o non ho fatto non mi danno alcun fastidio. Guarda il tuo passato. Affronta il tuo passato. Non è reale è solo un sogno” (p.284).

Quando gli fu chiesto se avesse provato senso di colpa, rispose: “Questo è il meccanismo che usiamo per controllare le persone. È un’illusione. Esistono modi migliori per controllare il comportamento” (p.288).

Ted Bundy aveva sviluppato una tecnica efficace per manipolare le future vittime, molto probabilmente era riuscito a conoscere e fare esperienza sui problemi e sulla vulnerabilità delle persone quando svolgeva la sua attività di counselor in una linea telefonica a cui potevano fare riferimento giovani ragazze in crisi. Riusciva con estrema facilità a far salire nella sua auto le ragazze.

Egli descrisse sé stesso come un “figlio di puttana a sangue freddo”.

PSICOPATICI E ALESSITIMIA. UNA PERSONALE IPOTESI

In effetti gli psicopatici vivono una certa riduttività dell’affettività, apparendo a volte freddi e senza emozioni; altre volte invece riescono ad esprimerle anche in modo teatrale ma alla base non c’è in loro la differenziazione delle diverse emozioni. Si potrebbe azzardare nel presupporre un sottotipo dell’alessitimia (9) che si potrebbe definire alissitimia di tipo III (10), andando oltre la consueta classificazione proposta nel Dizionario di Medicina Treccani del 2010 fatta da alcuni autori, in cui si classifica il disturbo in Tipo I e Tipo II.

Nel tipo III c’è si l’ assenza stessa di esperienza emotiva ma intesa come una forma “di confusione” delle diverse emozioni, tant’è che i soggetti che ne sono affetti possono confondere l’amore con la semplice eccitazione sessuale. Poichè non sono stati in grado di sviluppare una mentalizzazione adeguata delle emozioni, usano un pensiero concreto per simbolizzarle. Quindi, si può affermare che il tipo III sia caratterizzato dalla confusione dell’esperienza emotiva con relativa difficoltà di nominazione.

Secondo una ricerca condotta da Widiger, Bundy aveva i seguenti tratti distintivi per poter essere definito psicopatico:
• Antagonismo. Ingannava le persone, era manipolativo, insensibile, arrogante e sfruttava situazioni e persone a suo vantaggio senza tener conto di arrecare danni;
• Estroversione. Era un uomo che sapeva coinvolgere chi aveva di fronte ed era molto assertivo ;
• Alta coscienza. Riusciva ad essere un uomo abile, competente, riflessivo, organizzato e diligente;
• Basso nevroticismo. Aveva mancanza di paura

Widiger giunse alla conclusione che ci sono psicopatici “ad alto funzionamento”, i quali hanno le caratteristiche fondamentali di uno psicopatico ma anche l’abilità di riuscire a sfruttare gli altri senza incorrere in punizioni, tipologia in cui poteva rientrare Ted Bundy . Egli riuscì anche ad evadere dalla prigione per ben due volte, anche se la sua vita terminò comunque sulla sedia elettrica.

Aileen Wuornors fu vittima di una serie di eventi tutti a suo sfavore che le fecero sperimentare ripetuti abbandoni da parte della madre, del padre, dei nonni e infine il fratello Keith.

Fu violentata dal nonno, da un amico, anche dagli stessi clienti durante lo svolgimento della sua attività di prostituta.

Fu tradita in sede processuale da Tyira Moore, sua compagna. Per proteggersi si rifugiò sin dalla adolescenza nella droga e nell’alcool. La rappresentazione che poteva avere Aileen di sé stessa non poteva che essere di una persona non degna di essere amata, di una persona svalutata, di un contenitore vuoto usato come mezzo di scambio, un catalizzatore di sventura che porta inesorabilmente all’abbandono e alla perdita.

L’assenza di figure significative avevano rappresentato per Aileen Wuornos situazioni che hanno provocato un rifiuto affettivo, di indifferenza o estraniazione, sviluppando in modo presumibile sindromi da carenza affettiva, con possibili cause di frustrazione. A compensare una tale mancanza affettiva, le condotte criminose hanno potuto in qualche modo operare una sorta di indennizzo per le deprivazioni affettive infantili.
La Wuornos non aveva un contatto di aderenza totale alla realtà, il Super-Io, avendo rinunciato totalmente al controllo, si era strutturato come criminale.

Essendo gli ideali dell’Io e la rappresentazione interiore della coscienza rovesciati, ella non ha fatto altro che adeguare la sua condotta criminale alla distorta struttura superegoica.

A rafforzare tale idea intepretativa c’è l’incoerenza delle testimonianze rilasciate in seguito ai delitti successivi a quello di Mallory, in cui parla di leggittima difesa in seguito al tentativo di violenza da parte delle sette vittime, per poi ritrattare sostenendo di aver avuto solo l’intento di rapinarli. È possibile quindi che Aileen Wuornos abbia visto nella pretesa di favori sessuali atti di violenza da cui si è dovuta difendere, mediante una percezione erronea dovuta a possibili sintomi positivi della schizofrenia, che sono compatibili con il disturbo bordeline. Dalla anamnesi della Wuornors emerge in modo chiaro come ella non abbia acquisito ed interiorizzato regole di condotta sia intellettive che affettive per poter operare un processo decisionale.

 LE DIFFERENZE SOSTANZIALI TRA BUNDY E LA WUORNOS

Ciò rappresenta la differenza sostanziale tra la condotta di Ted Bundy e quella di Aileen.

I crimini commessi da Bundy sono solo frutto di una illogica tendenza a fare del male, in cui non si ravvedono motivi comprensibili e che potrebbero riassumersi nelle parole di Ugo Fornari espresse in Tre orrendi delitti del passato (1998) (11) :”In certe forme di ragionamento, follia, mostruosità e dimensione umana del delitto sono correlate in modo circolare: vale a dire che la dimensione umana, quando mostruosa, trova spiegazione nella follia; che la follia spiega e giustifica la mostruosità della dimensione umana; che la dimensione umana è mostruosa quando è folle; infine, che la follia, anche quando mostruosa, ha una dimensione umana.”

Nella Wuornors invece si potrebbe ipotizzare che se le condizioni ambientali e biologiche fossero state diverse forse non avrebbe rappresentato il male. A sostenere tale tesi è il fatto che lei non abbia mai sfruttato gli altri malgrado ne avesse avuto l’occasione.

Dopo il divorzio, avrebbe potuto chiedere ingenti somme di denaro al suo ricco consorte, eppure, malgrado la sua indigenza, ha preferito non farlo, ritornando a vivere per strada .

Avrebbe potuto semplicemente estrarre la pistola ed uccidere il Mallory invece di intimargli più volte di smettere mentre perpetrava violenza su di lei, e anche le altre cinque vittime sono state uccise solo nel momento in cui le ha ritenuto pericolose per la sua vita, mettendo in atto quel meccanismo normale di attacco-fuga tipico dell’essere umano.

Durante il processo poi, ha mostrato forme di pentimento nei confronti delle vittime successive al Mallory ma ciò non è bastato a far capire alla giuria che non era un mostro ma semplicemente una donna a cui la vita aveva tolto tanto.

L’unica cosa che le era rimasta ancora da dare era la sua stessa esistenza, a cui lo Stato della Florida ha posto fine il 9 Ottobre del 2002, pagando il prezzo del male con il male stesso.

Aileen è stata una vittima, forse più delle persone che lei stessa ha ucciso.

 dott.ssa Romina Parentera 

 

Note:

1-Hare R.D. La psicopatia. Valutazione diagnostica e ricerca empirica. Astrolabio Roma 2009

2-Ivi,70

3-Il modello operativo interno (MOI) è una mappa formata dalla rappresentazione mentale che il soggetto possiede della realtà esterna, dell’immagine di sé, e degli assunti su come funzionano le relazioni interpersonali. Essi funzionano al di fuori della consapevolezza e sono resistenti al cambiamento.

4-Il processo di mentalizzazione rappresenta l’attività mentale immaginativa, che ci permettere di cogliere ed interpretare il comportamento umano in termini di stati mentali come i bisogni, i desideri, le emozioni, le credenze, gli obiettivi, le intenzioni ed infine le motivazioni.

5-Il concetto di relazione oggettuale si riferisce alla modalità con le quali il soggetto costituisce i suoi oggetti e si relaziona con essi e come questi ultimi concorrono a modellare l’attività del soggetto.

6-Fornari U. Trattato di psichiatria forense. Wolters Kluwer, UTET 2019 Torino

7-L’organizzazione bordeline si riferisce al funzionamento di personalità e quindi non è identificabile di una categoria specifica ma può essere una struttura organizzante di diversi cluster.

8-Michaud S.G. e Aynesworth H., Ted Bundy: Conversation with a killer. New American Library, New York 1989

9-Alissitimia, rappresenta un disturbo dell’elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione delle emozioni.

10-La teoria proposta di una ulteriore distinzione nella fattispecie di Tipo III è frutto di una personale ipotesi dell’autrice dell’articolo.

11-Fornari U.- Coda S., Tre orrendi delitti del passato, Centro Scientifico Editore, Torino, 1998

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Bibliografia:
Allen J.G.,Fonagy P,Bateman A.W. La mentalizzazione nella pratica clinica, Raffaello Cortina Editore, 2010
Arieti S., Manuale di Psichiatria, Boringhieri,Torino, 1969, vol.1 p.588
Bowlby, J. Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano,1982.
Bowlby, J. Attaccamento e perdita, Vol. 3: La perdita della madre, Boringhieri, Torino,1983.
Bowlby, J Dalla teoria dell’attaccamento alla psicopatologia dello sviluppo, Rivista di Psichiatria, 2. 1988
Casonato M., Scagliaschi M., Manuale storico comparatista di psicologia dinamica. UTET 2012 Novara Cleckley H., The Mask of Sanity: An Attempt to Clarify Some Issues About the So Called Psychopathic Personality. St. Louis, MO: Mosby, 1941.
Crugnola C.R., La relazione genitore – bambino. Tra adeguatezza e rischio. Milano 2012

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Hare R.D., La psicopatia. Valutazione diagnostica e ricerca empirica. Astrolabio, Roma 2009

Kernberg O., Disturbi gravi della personalità, Bollati Bordigheri, 1987 Torino

Michaud S.G. e Aynesworth H., Ted Bundy: Conversation with a killer. New American Library, New York 1989
Midgley N. Vrouva I., La mentalizzazione nel ciclo di vita, Raffaello Cortina Editore, 2018

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