Matrimonio religioso e civile. Una disanima della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n.9004/2021.

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Sentenza SS n.9004/2021

Introduzione

Per comprendere cosa è successo con la Sentenza SS UU 9004/2021è necessario un breve prologo sul concetto di matrimonio religioso cattolico.
Il matrimonio religioso cattolico, dovrebbe durare, come recita la formula “finchè morte non vi divida”.
Tale principio è altresì presente nel vigente Codex Juris Canonici, nel canone 105 che recita: “Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunione di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione della prole, è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento tra i battezzati“.
Quanto sopra enunciato è, come ben sappiamo mera teoria, poiché è comunque possibile, e la storia ci insegna, far dichiarare nullo un matrimonio religioso poiché esistono una serie di cause che ne giustificherebbero la nullità.

La procedura

Proceduralmente, i coniugi devono rivolgersi alla Sacra Rota competente per territorio per vedere dichiarato nullo il loro matrimonio ecclesiastico.
La sentenza di nullità matrimoniale emessa dai Tribunali della Chiesa non viene riconosciuta automaticamente dallo Stato Italiano, poiché considerata sentenza di uno Stato Straniero. Le parti debbono dunque ottenere il decreto di esecutività del Superiore organo ecclesiastico di controllo, e procedere alla richiesta di riconoscimento con un procedimento di delibazione presso la competente Corte d’Appello competente.
E’ altresì possibile, come nel caso che ci occupa, che i due procedimenti coesistano, quello ecclesiastico per ottenere la dichiarazione di nullità e il procedimento civile di divorzio.

La sentenza n.9004/2021 delle Sezioni Unite

Rispetto a questa possibilità, con la sentenza n. 9004/2021, le Sezioni Unite della Cassazione hanno sancito che la nullità del matrimonio decisa con sentenza dell’Autorità ecclesiastica, riconosciuta e resa esecutiva dalla Corte d’Appello dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, non ferma il ricorso intrapreso dal marito, con cui ha impugnato solo la parte della sentenza relativa al riconoscimento dell’assegno di divorzio. I due procedimenti infatti sono autonomi e tra i due non sussiste un rapporto di pregiudizialità tale da dover imporre la sospensione.
La massima recita:” In tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento delle spettanze e delle liquidazioni dell’assegno divorzile”.

I fatti di causa

Per comprendere tale principio è necessario riassumere brevemente i fatti di causa.
Il Tribunale civile pronuncia la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario ponendo a carico del Sig. X l’assegno divorzile di 450 euro mensili da rivalutare in base agli indici Istat. L’uomo ricorre in appello per contestare solo il riconoscimento dell’assegno divorzile, ed in tale sede l’impugnazione viene rigettata perché viene dimostrata in giudizio la mancanza di mezzi della ex moglie e l’impossibilità per la stessa di procurarseli a causa dell’età e della crisi economica. La disparità tra gli ex coniugi è visibile: il marito infatti è medico, mentre la moglie è rimasta disoccupata.
L’ex marito ricorre in Cassazione e dopo la trattazione in Camera di Consiglio deposita copia della sentenza con cui la Corte di Appello ha reso esecutiva la sentenza del Tribunale Ecclesiastico che ha dichiarato la nullità del matrimonio. A seguito di ciò, chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La Cassazione rimette gli atti al Presidente, che dispone l’assegnazione del ricorso alle SU per risolvere la questione.
La Corte di Cassazione risolve enunciando il principio sopramenzionato, la ragione che ha condotto a tale pronuncia sta nel fatto che i due procedimenti sono autonomi, aventi finalità e presupposti diversi.

Conclusioni

Dunque la sentenza che ha delibato nel nostro ordinamento la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio della coppia non può impedire che il giudizio continui per la corresponsione dell’assegno divorzile.
Gli Ermellini hanno altresì evidenziato che la sentenza di corresponsione dell’assegno di mantenimento, nel riconoscerne la misura, ha tenuto conto di tutti i criteri indicati dalla SU n. 18287/2018 ossia l’età del coniuge, la durata del matrimonio e le capacità di reddito di ciascun coniuge, nonché della situazione occupazionale e reddituale degli stessi.
Precisa infine la Cassazione, che in sede di legittimità non si può riesaminare nel merito la controversia.

di Avvocato Paola PETRARCA

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