LE DONNE DI MAFIA: LUCI E OMBRE DI UN’EMANCIPAZIONE DISFUNZIONALE

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DONNE D’ONORE, DONNE DI MAFIA

Non è da molti anni che si parla di “donne d’onore”.
E non certamente nell’accezione più alta e dignitosa del termine.
Parlare di donne di mafia, fino a qualche decennio fa, voleva dire parlare delle donne “vittime” della mafia o di quelle che ad essa si sono ribellate.

MAFIA E DIRITTO

La magistratura per anni ha creduto che esistesse incompatibilità tra la mafia e un ruolo penalmente rilevante delle donne al suo interno, non riconoscendo loro la possibilità di essere in grado di agire in maniera autonoma e cosciente.
Così come anche in punto di diritto non le si riteneva neppure pienamente complici del reato ma al massimo le si accusava di favoreggiamento (ex art. 378 c.p.) in quanto non in grado di coprire posizioni rilevanti all’interno della società mafiosa.
Nel corso degli anni questa prospettiva è stata gradualmente superata grazie alle stesse donne che hanno cominciato ad uscire allo scoperto.
La donna è stata sempre presente nelle dinamiche di potere delle organizzazioni mafiose e in molti casi si è sostituita all’uomo incarnando i medesimi dis-valori che prima di allora avevano subìto nel giogo dell’egemonia maschile.

IL RUOLO DELLA DONNA NELLA STRUTTURA MAFIOSA

Nonostante la struttura mafiosa rimanga monosessuale e maschilista, negli ultimi anni sono sempre di più le donne coinvolte in affari illeciti, sebbene ufficialmente continuino a non far parte dell’organizzazione, a non poter essere formalmente affiliate e a non partecipare ai riti di iniziazione.
Secondo un vecchio luogo comune, i mafiosi non si confiderebbero con le loro donne in quanto ritenute incapaci di tacere.
Ma le collaborazioni di giustizia rivelerebbero il contrario: le donne sanno tutto e molto spesso si tengono tutto molto più degli uomini.
Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina dichiarò “la donna non si è mai seduta intorno al tavolo per una riunione, ma c’è sempre stata lo stesso.
Molte riunioni si sono svolte in casa mia o in quella di mia madre o di mia sorella. Sentono tutto ma non possono dire nulla. Le donne sono portatrici di segreti”.
Le donne, nel corso degli ultimi decenni, hanno assunto il ruolo di gregarie e supplenti del boss finanche ad incarnare quello di vero e proprio leader.
Anche per la loro intrinseca natura, vengono usate come attrici della nuova strategia comunicativa della mafia, alle quali, per la prima volta, viene concesso di prendere la parola in difesa del sistema attraverso il disprezzo e la scomunica del fenomeno del pentitismo.
Nell’espletamento di questo nuovo ruolo, le donne di mafia appaiono dure e determinate, capaci di sacrificare gli stessi figli in nome dei “principi” su cui si poggia l’organizzazione, in grado di mettere in discussione i valori sacri della famiglia come quello della maternità.
Le donne non “fanno parte” ma “appartengono” all’organizzazione mafiosa nel senso che ne sono proprietà: vengono percepite come qualcosa da dominare, da gestire e da tenere all’oscuro dai segreti della cosca.
Le donne non vanno toccate, specialmente la propria moglie deve essere rispettata, non in quanto donna ma in quanto madre della progenie.
Secondo il pensiero imperante dei membri delle Onorate Società, le donne non potranno mai diventare vere mafiose: sono, infatti, considerate incapaci di svolgere uno dei mestieri fondamentali per l’organizzazione, ovvero quello di uccidere; inoltre, una donna che viene colpita nei suoi affetti più cari diventa “incapace di ragionare”.

LA REGOLA DEL SILENZIO

Si applica con loro la regola del silenzio: un uomo non deve raccontare a nessuno della sua affiliazione ma specialmente deve fare attenzione a non parlarne con le donne.
Narra Antonio Saia, affiliato al clan del Catanesi: “Mia moglie sapeva che rubavo ma mai poteva immaginare che io potessi aver fatto un omicidio […]. Cioè, all’inizio quando eravamo sposati, lei mi chiedeva. Poi le ho fatto capire che non mi deve chiedere niente.
Primo perché era una donna e io non volevo coinvolgerla nelle mie cose. Perché sa, parlava con un’amica, tra amiche, sa, ci si confida […]”.
Un’immagine quella della “donna di mafia e nella mafia” a tinte forti, un chiaro-scuro inquietante che fa intravedere qualcosa di altro e di terribile rispetto all’idea comune che si ha del presunto “sesso debole”.
Profetico quanto vergava lo scrittore Leonardo Sciascia, uno dei più grandi studiosi del Mezzogiorno, nel suo libro “La Sicilia come metafora”:
«Molte disgrazie, molte tragedie del Sud ci sono venute dalle donne, soprattutto quando diventano madri. Le donne del Mezzogiorno hanno questo di terribile.

Quanti delitti d’onore sono stati provocati, istigati o incoraggiati dalle donne! Dalle donne madri, dalle donne suocere.

Eccole di colpo capaci delle peggiori nefandezze per rifarsi delle vessazioni da esse subite durante la giovinezza, col ricorso a uno spaventoso conformismo sociale… Queste donne sono un elemento di violenza, di disonestà e di abuso di potere nella società meridionale…».

Dott.ssa Roberta FILECCIA

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