DETENUTI E CORONAVIRUS: LA RECLUSIONE AI TEMPI DELLA PANDEMIA.

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IL CONTAGIO NELLE CARCERI

Sono ormai frequenti e comuni le notizie circa il contagio anche delle persone detenute in Italia. La pandemia, come per il mondo libero, anche per le strutture penitenziarie è un dramma che ha provocato non poche difficoltà sia per i detenuti che per l’amministrazione penitenziaria in generale. Siamo a metà aprile e si registrano più di 50 detenuti contagiati, di cui alcuni ricoverati in ospedale e altri due morti. Il primo decesso è avvenuto in data 2 aprile, a Bologna, era un detenuto di 76 anni con quadro clinico compromesso. Oltre 178 gli agenti di polizia penitenziaria sono risultati positivi, anche essi alcuni ricoverati e altri in quarantena presso il carcere.

L’EMERSIONE DEL FENOMENO. LE RIVOLTE

Ci sentiamo di elencare alcuni dei casi emblematici che hanno segnato soprattutto l’interesse dei mass media. Dall’inizio del mese di marzo si sono registrate numerose e significative rivolte presso gli istituti penitenziari: a Modena si sono registrati 9 morti e 18 feriti; al carcere di Dozza, a Bologna,si è registrato il primo decesso; a Salerno, invece, i detenuti in data 7 marzo sono saliti sul tetto della struttura con armi improvvisate, appiccando anche incendi; una forte rivolta a Napoli al carcere di Poggioreale partita dai detenuti del terzo piano del padiglione “Livorno”; a Foggia addirittura si sono registrate 19 evasioni di uomini legati sfortunatamente anche ad associazioni a delinquere; a Rieti ci sono stati 3 morti; infine, a Vicenza un agente di polizia penitenziaria è risultato positivo al virus.

Ancor più recente è ciò che è avvenuto al carcere di Santa Maria Capua Vetere dove un detenuto ha avuto sintomi a partire dal 26 marzo ma il tampone gli è stato fatto solo molti giorni dopo, risultando poi positivo. A questa situazione non sono mancate delle vere e proprie rivolte da parte dei familiari dei detenuti i quali sanno dei maltrattamenti dei loro cari in carcere oltre che sottolineare una grandissima preoccupazione per la mancanza del rispetto delle norme di sicurezza da rispettare all’interno delle strutture stesse.
Questi i dati critici ad oggi, ma cerchiamo di spiegare gradualmente come si è svolta la situazione nei carceri italiani dall’inizio della diffusione del virus.

IL DECRETO CURA ITALIA

A metà marzo con il decreto Cura Italia, approvato poi in Senato, sono stati sanciti dei provvedimenti soprattutto con gli articoli 123 e 124. Questi articoli permettono la detenzione domiciliare per i detenuti che hanno una pena o un residuo di pena inferiori ai 18 mesi con l’incentivo del braccialetto elettronico, da questi sono esclusi i detenuti i quali hanno commesso reati ostativi, ad esempio quelli in art. 4 bis.

Sono emersi già i primi problemi da questo provvedimento poiché dovrebbero essere distribuiti circa 5000 braccialetti elettronici, ad ora la distribuzione è a meno di un quinto del totale e il Governo ha stabilito un limite settimanale di applicazione di 300 braccialetti, con questi ritmi gli stessi verranno applicati per il mese di agosto. Si intuisce che tempi del genere siano troppo lenti, giacché l’emergenza è ora e bisognerebbe agire nel minor tempo possibile. Il secondo provvedimento riguarda una velocizzazione delle pratiche dell’amministrazione penitenziaria, cioè il carcere non deve inviare più al Magistrato la relazione sulla condotta del detenuto per l’affidamento alla detenzione domiciliare (che non viene comunque affidata in caso di sanzioni disciplinare o per chi abbia partecipato alle rivolte degli ultimi giorni), la richiesta sarà dunque più veloce. Si verificano di sicuro dei rischi in base a questi provvedimenti, ad esempio, il forte rischio di fuga del detenuto a cui sono concessi i domiciliari o la possibilità di automatismi nella scelta del Magistrato che ricordiamo ha sempre e comunque la facoltà di poter rifiutare la richiesta dei domiciliari.

I CELLULARI PER I DETENUTI

Inoltre il Ministro Buonafede il 24 marzo ha dichiarato alla Camera dei deputati l’acquisto di 1600 cellulari per i detenuti e altri 1600 in via di acquisto, più un aumento della corrispondenza. Questa decisione è stata la prima conseguenza in seguito alle restrizioni circa il divieto dei colloqui tra detenuti e famigliari per la tutela degli stessi, i detenuti e tutti coloro che lavorano nelle strutture penitenziare, che hanno provocato l’inizio delle rivolte sul tutto il territorio italiano. Di conseguenza, per evitare un isolamento assoluto e totale è necessario l’aumento di contatti “virtuali o cartacei” con i propri cari.
Il Decreto aiuta e garantisce un maggiore accesso alle misure alternative alla detenzione proponendo e attuando in tempi molto brevi la detenzione domiciliare per ridurre il sovraffollamento. In particolar modo queste misure dovrebbero essere attuate per coloro che soffrono di patologie pregresse o comunque per imputati e detenuti non pericolosi o con responsabilità assistenziale anche verso donne e minori.
Ovviamente, chi vive all’interno del carcere non ha percezione di quello che succede nel mondo libero, dunque nel minimo indispensabile si potrebbe garantire un sostegno psicologico ed emotivo e sempre più informazioni e aggiornamenti sul virus.
In questa sede si vogliono considerare alcune soluzioni che potrebbero alleviare lo stato di disagio all’interno dei carceri in una situazione di tale emergenza. Si potrebbe avanzare l’ipotesi di aumentare i minuti di telefonate con i propri cari, poiché i detenuti si sono trovati completamente abbandonati e soli perché oltre ai colloqui e alle telefonate è vietato anche l’ingresso di volontari che com’è noto sono una grande fonte di sostegno.

LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

Ovviamente si ricorda che qualsiasi decisione e scelta presa circa la realtà penitenziaria deve tutelare alcuni principi fondamentali come la salute e libertà sia delle persone detenute che degli operatori e che qualsiasi misura verrà presa a causa del virus deve rispettare la dignità umana. Siamo senz’altro d’accordo rispetto all’aumento delle misure alternative alla detenzione che direttamente riducono il pericolo del contagio ma che d’altra parte incidono anche sul problema del sovraffollamento.

COME GARANTIRE LA PROTEZIONE DEI DETENUTI?

Nei casi in cui non sia possibile la misura alternativa è fondamentale garantire più assistenza sanitaria ad anziani o detenuti con patologie e , così come accade nel mondo libero,anche nelle strutture sono necessariela sospensione delle attività non essenziali tutelando comunque i diritti fondamentali come l’igiene, l’area aperta e l’accesso ai mezzi di comunicazione. È obbligo per coloro i quali hanno contratto il virus, siano essi detenuti medici o agenti penitenziari, essere messi in isolamento o in quarantena anche con un solo contatto (necessario) al giorno, rispettando le misure di sicurezza. Le stesse vanno applicate anche per tutti gli altri detenuti laddove siano necessari degli accessi, come per medici o avvocati che devono essere effettuati.

Il problema resta comunque evidente, ad oggi l’Italia secondo l’Unione Europea è il paese al vertice nella classifica europea dei paesi per sovraffollamento.
Come possono essere rispettate le misure di sicurezza se ci sono più di 10.000 persone in più? Questo impedisce il rispetto dapprima dello spazio vitale oltre che del rispetto delle misure di sicurezza del decreto per il Covid-19. Grazie allo stesso decreto in data 11 aprile ci sono circa 5.000 detenuti in meno nelle strutture che restano comunque tanti.

La situazione è diversa da Regione in Regione, i dati sono in miglioramento, ma la situazione si evolve di giorno in giorno.

CONCLUSIONE

Non ci resta comunque che sperare che così come nel mondo libero bisognerà imparare a convivere con il virus per alcuni mesi, lo stesso possa accadere anche per i detenuti e gli operatori.

In questa particolare situazione, non esiste un confine tra dentro e fuori, al centro deve esserci la dignità della persona, la pena che è sofferenza non serve renderla disumana.

Giuseppina Perotta

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