Alice SEBESTA. Le misure di sicurezza. Un viaggio tra REMS e OPG

| Criminologia, Diritto Penale

IL CASO

Alice SEBESTA è una donna di 33 anni, di nazionalità tedesca,  nata in Georgia, madre di due figli, uno di 6 mesi e l’altro di due anni. Alla fine di agosto del 2019  racconta di aver accettato un passaggio da due cittadini di nazionalità nigeriana per farsi accompagnare alla Stazione Tiburtina di Roma per intraprendere un viaggio di ritorno a Monaco di Baviera. La macchina viene fermata sulla Tangenziale dalla Polizia che, dopo una perquisizione, rinviene della droga. I tre vengono arrestati, i due cittadini nigeriani vengono scarcerati, la Sebesta invece, rimane in carcere. Non stiamo qui a ripercorrere le vicende che poi hanno portato al tragico epilogo, forse evitabile. Saranno gli organi inquirenti, all’esito delle indagini, a stabilire le eventuali responsabilità e comportamenti omissivi di tutti coloro i quali avrebbero potuto evitare quanto poi accaduto. Sta di fatto che il 18 settembre, nell’asilo nido del Carcere di Rebibbia, durante il pranzo, la Sebesta ha gettato i due figli, nella tromba delle scale, uccidendoli.

All’esito del processo, celebratosi nelle forme del giudizio abbreviato, il GUP ha assolto la Sebesta per vizio totale di mente (su richiesta conforme del P.M.) stabilendo nei suoi confronti l’applicazione della misura di sicurezza del soggiorno presso una R.E.M.S. per 15 anni.

Diviene utile ripercorrere il percorso che ha portato il legislatore ad introdurre le misure di sicurezza nel nostro ordinamento al fine di meglio comprendere in che cosa davvero consiste la decisione assunta dal GUP.

LE MISURE DI SICUREZZA

Le misure di sicurezza possono essere applicate solo alle persone socialmente pericolose (art 133 del c.p.) quando hanno compiuto un reato.

Le misure di sicurezza detentive sono indicate dall’art 215 del cp.  (ad es. colonia agricola, ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario) Vi sono poi misure di sicurezza non detentive (ad es. la libertà vigilata ex art.228 c.p.) e quelle patrimoniali , ovvero la cauzione di buona condotta e la confisca (ex art. 236 del c.p.).

LA NATURA DELLE MISURE DI SICUREZZA

Si discuteva sulla natura delle misure di sicurezza. Rocco diceva che la pena è la sanzione criminale per eccellenza , la misura di sicurezza non è affatto una sanzione e, tanto meno, una sanzione penale, non ha natura giurisdizionale ma bensì amministrativa e, più precisamente di Polizia.

Dottrina e giurisprudenza più recenti considerano le misure di sicurezza come sanzioni penali in quanto esse presuppongono un fatto costituente reato, e sono disciplinate dal codice penale. Cd sistema del «DOPPIO BINARIO»

Differiscono dalle pene perché in esse l’emenda ha una funzione prevalente e perché la loro durata è predeterminata solo nel minimo (contenuto e durata). Alla scadenza ben può il Magistrato di Sorveglianza, prorogarle.

LA NASCITA DELLE MISURE DI SICUREZZA

Facciamo un salto indietro nel tempo. Nel 1800 si era acceso un forte dibattito tra le scuole penalistiche italiane sulle carceri e sulla funzione della pena. La scuola classica, nonostante la sua rigorosità escludeva dalla pena gli incapaci di intendere, i cosiddetti “folli rei”, soggetti che avevano commesso un reato in stato di assoluta follia e che non potevano rispondere della loro condotta delittuosa in quanto l’irrogazione di una pena in senso stretto era necessariamente ricollegata alla consapevolezza e colpevolezza del reo. Il soggetto che aveva commesso un crimine in stato di  “assoluta imbecillità, pazzia o morboso furore”,veniva prosciolto e, di norma, rimesso in libertà.

La scuola Positiva, forte delle conoscenze acquisite dalla nuova scienza criminologica, cercò di trovare una soluzione per il trattamento del cd “pazzo delinquente”, che rappresentava un pericolo per la collettività, dinanzi al quale la società era chiamata ad approntare idonei strumenti difensivi. La prigione, tuttavia, non sarebbe stata adeguata a tali individui. Infatti, se da un lato rischiavano di pregiudicarne l’ordine e la disciplina, dall’altro le case di pena non erano idonee a fornire loro le cure necessarie. Ed è proprio Cesare Lombroso a proporre l’istituzione dei manicomi criminali.

L’ISTITUZIONE DEI MANICOMI GIUDIZIARI

La legge 14 febbraio 1904, n. 36 è stata la prima legislazione che ha previsto il ricovero coattivo all’interno dei manicomi giudiziari. Il Codice Rocco nel 1930 istituzionalizzò il ricorso al manicomio giudiziario quale misura di sicurezza da disporsi sempre nei confronti dell’imputato prosciolto per infermità psichica. Sotto la vigenza del Codice Rocco il nostro ordinamento accolse le istanze della cosiddetta Terza Scuola, introducendo quale compromesso tra le contrastanti opinioni delle scuole Classica e Positiva il sistema del doppio binario che articolava le risposte sanzionatorie alla commissione di un reato distinguendole tra pene e misure di sicurezza.

GLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI

Successivamente, con la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 e con il relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431, entrarono a far parte del sistema penale italiano, gli ospedali psichiatrici giudiziari (O.P.G.)

Il ricovero in OPG era previsto dall’art 222 del c.p. La durata minima variava da 2 a 10 anni, secondo il crimine presupposto e la patologia riscontrata.

Spaventose le condizioni in cui versavano i ricoverati. Nel 1974 l’internato Aldo Trivini con una cinepresa Super8, riprende lo scandalo delle condizioni inumane in cui sono tenuti gli internati, testimonia abusi e morti sospette, violenza e contenzioni punitive lunghissime, come privilegi incondizionati e omertosi per alcuni.

Nel 1974 l’internato Aldo Trivini con una cinepresa Super8, riprende lo scandalo delle condizioni inumane in cui sono tenuti gli internati, testimonia abusi e morti sospette, violenza e contenzioni punitive lunghissime, come privilegi incondizionati e omertosi per alcuni.[1]

Nel 1974 l’internato Aldo Trivini con una cinepresa Super8, riprende lo scandalo delle condizioni inumane in cui sono tenuti gli internati, testimonia abusi e morti sospette, violenza e contenzioni punitive lunghissime, come privilegi incondizionati e omertosi per alcuni.[1]

A catena seguirono indagini che misero luce sull’orrore di tali strutture. Intervenne il legislatore che ordinò la soppressione degli OPG.

LA SOPPRESSIONE DEGLI OPG

Alla vigilia del 31 marzo 2015, data indicata dalla legge n. 81 del 2014 per il superamento definitivo degli OPG, nei sei OPG , superstiti, erano rimaste 708, persone di cui una buona metà immediatamente dismissibili. Quasi un anno dopo, nel febbraio 2016, ancora sopravvivevano 4 OPG – Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto – con un centinaio di persone internate illegalmente e sei regioni inadempienti rispetto all’attuazione dei programmi per il superamento degli OPG.

LE R.E.M.S.

Attualmente per gli autori di reato affetti da disturbi mentali (infermi di mente) e socialmente pericolosi viene disposto il ricovero presso le REMS ovvero residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

La gestione interna è di esclusiva competenza sanitaria, poiché afferenti al Dipartimento di Salute Mentale(DSM).

Si tratta di strutture residenziali con funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative, con permanenza transitoria ed eccezionale. Di fatti, l’internamento in REMS, è applicabile “solo nei casi in cui sono acquisiti elementi dai quali risulti che è la sola misura idonea ad assicurare cure adeguate ed a fare fronte alla pericolosità sociale dell’infermo o seminfermo di mente“.

Le REMS disponibili in Italia sono 30 con l’inadeguata capienza di 600-700 posti. Ne consegue che spesso internati e detenuti convivono nella stessa struttura.

CONCLUSIONE

Alice Sebesta è stata assolta per vizio totale di mente. Il GUP ha però applicato nei suoi confronti la misura di sicurezza della detenzione presso una R.E.M.S, per un periodo non inferiore ai 15 anni.

Come abbiamo visto le misure di sicurezza sono determinate solo nel MINIMO.

Trascorso questo periodo, la Magistratura di Sorveglianza, sulla base delle relazioni che perverranno dalla struttura, e da tutti i soggetti che seguiranno il percorso riabilitativo, stabilirà se prorogare, nei confronti di Alice Sebesta, la misura o dichiarala cessata.

Vi è da dire che vi sono diversi casi, di soggetti attinti da misure di sicurezza (ad es. la colonia agricola) che dopo aver trascorso numerosi anni tra carcere e misure di sicurezza, si trovano ormai soli, senza aver più un luogo dove andare, senza la possibilità di lavorare e con alta probabilità che una volta usciti commettano altri crimini. In tali casi, non ricorrendo le condizioni per la cessazione della pericolosità sociale, viene di anno in anno prorogata la misura di sicurezza, trasformandola così in una sorta di “ergastolo mascherato”(cd ergastolo bianco).

[1] http://reportage.corriere.it/senza-categoria/2015/opg-la-fine-di-uningiustizia-le-storie-dei-reclusi-e-le-incognite-sul-futuro/

 

 

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